Art. 1 |
Comma 357 |
Applicazione ai distacchi di personale dalla Agenzia del Territorio ai comuni delle regole previste dal DLgs n. 276/2003 |
Art. 1 |
Comma 386 |
Proroga al 2008 della esclusione dal patto di stabilità degli enti commissariati nel 2004 e 2005. Loro equiparazione agli enti soggetti al patto per le norme sul personale |
Art. 2 |
Comma 30 |
Attribuzione ai responsabili delle funzioni delle commissioni elettorali comunali e gratuità dell'incarico di componente delle commissioni elettorali comunali e mandamentali, salvo che per il rimborso delle spese di viaggio. |
Art. 2 |
Comma 368 |
Assunzioni nelle amministrazioni pubbliche della provincia di Bolzano |
Art. 2 |
Comma 452 |
Estensione di congedi di maternità e parentali ai genitori di figli adottivi |
Art. 2 |
Comma 454 |
Possibilità per il padre di figli adottivi di ottenere il congedo di maternità in alternativa alla madre |
Art. 2 |
Comma 455 |
Estensione dei congedi parentali anche alle adozioni internazionali |
Art. 2 |
Comma 549 |
Concessione a decorrere dal 2008 di un contributo di 50 mln di euro per la stabilizzazioen dei lavoratori socialmente utili |
Art. 2 |
Comma 550 |
Contributo a decorrere dal 2008 di 55 mln di euro per convenzioni per lo svolgimento di attività socialmente utili e stabilizzazioni di lavoratori impegnati in attività socialmente utili impegnati nei comuni da almeno un triennio |
Art. 2 |
Comma 551 |
Possibilità di assunzione da parte dei comuni, anche in deroga ai limiti posti alle assunzioni di personale, sia a tempo indeterminato che determinato, tramite procedure selettive e con oneri a carico del Ministero del lavoro |
Art. 2 |
Comma 552 |
Contributi di 1 mln di euro per ogni anno del periodo 2008/2009 e 2010 per la stabilizzazione di LSU nei comuni con popolazione inferiore a 50.000 abitanti a carico del bilancio comunale da almeno 8 anni |
Art. 2 |
Comma 632 |
Divieto per le PA che non hanno al proprio vertice organi politici di istituire uffici di staff degli organi di direzione |
Art. 2 |
Comma 633 |
Decadenza alla scadenza dell'incarico degli uffici di staff delle amministrazioni che non hanno vertici politici |
Art. 3 |
Comma 18 |
Operatività in tutte le PA dei contratti di consulenza dalla data della pubblicazione sul sito internet. |
Art. 3 |
Comma 31 |
Rideterminazione provvisoria delle dotazioni organiche a quella esistente alla data del 31 dicembre dell'anno precedente aumentato del personale per il quale le assunzioni sono in itinere e diminuito dei trasferiti |
Art. 3 |
Comma 44 |
Divieto di superare il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione per tutti i dipendenti pubblici ed i collaboratori, ivi compresi quelli delle società pubbliche, tranne i contratti d'opera e quelli professionali. Obbligo di pubblicazione sul sito internet della società o amministrazione, con maturare di responsabilità in capo all'amministratore in caso di violazione. Obbligo di trasmissione degli atti alla Corte dei Conti. |
Art. 3 |
Comma 47 |
Non applicazione del tetto ai compensi ai contratti di diritto privato in essere attualmente. |
Art. 3 |
Comma 48 |
Applicazione del tetto ai compensi ai nuovi contratti ed ai rinnovi, con divieto di loro proroga |
Art. 3 |
Comma 54 |
Obbligo di pubblicazione dei conferimenti di incarichi di consulenza sul sito internet con responsabilità disciplinare e erariale in caso di inosservanza |
Art. 3 |
Comma 55 |
Il conferimento di incarichi di collaborazione da parte degli enti locali è subordinato alle indicazioni dettate in uno specifico piano votato dal Consiglio. |
Art. 3 |
Comma 56 |
I regolamenti degli enti locali fissano il tetto di spesa per gli incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca. La violazione di queste regole determina responsabilità disciplinari ed erariali |
Art. 3 |
Comma 57 |
Trasmissione dei regolamenti degli enti locali alle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti entro i 30 giorni successivi alla adozione |
Art. 3 |
Comma 76 |
Restrizione della possibilità di conferire incarichi di consulenza da parte delle PA ai soli soggetti in possesso di competenza universitaria. |
Art. 3 |
Comma 77 |
Esclusione dall'obbligo di essere in possesso di competenza universitaria per gli organi di controllo interno ed i nuclei di valutazione |
Art. 3 |
Comma 78 |
Reiterazione dell'obbligo di riservare almeno il 60% dei posti messi concorso per assunzioni a tempo determinato ai cococo in servizio presso l'ente da almeno 1 anno alla data del 29 settembre 2006. |
Art. 3 |
Comma 79 |
Divieto per tutte le PA di utilizzare le assunzioni flessibili per esigenze diverse da quelle stagionali o per più di 3 mesi. Tale limite non si applica alle sostituzioni per maternità negli enti locali, indicando il nome del sostituto nel contratto. E' fatto divieto di rinnovare tali contratti o di utilizzare questo personale con altre tipologie contrattuali. Possibilità di assegnazione temporanea fino a 6 mesi del personale di altre PA. Inderogabilità da parte della contrattazione collettiva. Obbligo di trasmissione alla Funzione Pubblica ed al Ministero dell'Economia delle convenzioni per i LSU. Sanzione del risarcimento del danno a vantaggio del lavoratore, con obbligo di pagamento da parte del dirigente se la assunzione è stata effettuata con dolo o colpa grave. Divieto di assunzioni per i 3 anni successivi in caso di violazione di questi vincoli. Non applicazione agli uffici di staff degli organi politici ed agli incarichi dirigenziali ed a quelli preposti ad organi di direzione, consultivi e di controllo. Gli enti non soggetti al patto e fino a 15 dipendenti in dotazione organica possono avvalersi delle forme di assunzione flessibile per sostituzioni di dipendenti assenti, indicando il nome del dipendente da sostituire. Possibilità di avvalersi di assunzioni flessibili per programmi ed attività finanziate dalla UE o dal Fondo per le aree sottoutilizzate. |
Art. 3 |
Comma 81 |
Stimolo per le PA statali al ricorso al lavoro a distanza e ad altre forme di articolazione dell'orario per contenere lo straordinario. |
Art. 3 |
Comma 82 |
Contenimento per le amministrazioni statali della spesa per lo straordinario nel 90% di quella 2007. Divieto per tutte le PA di utilizzazione del lavoro straordinario se non sono stati attivati strumenti automatizzati di controllo delle presenze. |
Art. 3 |
Comma 87 |
Durata triennale delle graduatorie dei concorsi delle PA. |
Art. 3 |
Comma 90 |
Fermo restando il vincolo all'espletamento di procedure concorsuali, gli enti, si estende al 28 settembre 2007 il termine per la maturazione del requisito di anzianità triennale come lavoratore dipendente per potere accedere alla eventuale stabilizzazione. |
Art. 3 |
Comma 91 |
Il limite massimo quinquennale per la maturazione della anzianità ai fini delle stabilizzazioni è una norma di principio che ha carattere generale |
Art. 3 |
Comma 92 |
Possibilità di proroga dei contratti del personale che può essere stabilizzato. |
Art. 3 |
Comma 94 |
Obbligo per le PA di predisporre entro il 30 aprile piani per la progressiva stabilizzazione dei precari, sentiti i sindacati, sulla base della maturazione dei requisiti della anzianità triennale come lavoratori dipendenti a tempo determinato e dei cococo in servizio al prossimo 1 gennaio che abbiano maturato presso l'ente almeno 3 anni di anzianità , anche non continuativi, nel corso del quinquennio antecedente al 28 settembre 2007, ferme restando le riserve per le assunzioni a tempo determinato di tale personale. Esclusione da questa possibilità dei cococo degli uffici di staff degli organi politici. |
Art. 3 |
Comma 95 |
Possibilità di continuare ad avvalersi del personale assunto a tempo determinato ex cococo anche ai fini della stabilizzazione |
Art. 3 |
Comma 96 |
Con DPCM da emanare inderogabilmente entro il mese di marzo sono dettati i requisiti e le regole per la stabilizzazione dei lavoratori con altre tipologie di rapporto comunque precarie, fermo restando il requisito della anzianità triennale e le modalità di valutazione selettiva. |
Art. 3 |
Comma 97 |
Aumento di 20 milioni di euro all'anno dello specifico fondo previsto dalla legge finanziaria 2007. |
Art. 3 |
Comma 100 |
Proroga annuale dei contratti di formazione e lavoro non trasformati entro il 31 dicembre 2007. |
Art. 3 |
Comma 101 |
Le trasformazioni a tempo pieno sono nuove assunzioni e nei concorsi a tempo pieno occorre dare priorità alla trasformazione del rapporto dei dipendenti in part time. |
Art. 3 |
Comma 105 |
Spostamento al 2011 dell'entrata in vigore della norma che pone come tetto alle nuove assunzioni le cessazioni dell'anno precedente. |
Art. 3 |
Comma 106 |
Possibilità di prevedere una riserva del 20% nei concorsi pubblici per il personale che ha maturato o matura una anzianità triennale sulla base di contratti stipulati prima del 28 settembre 2007 ed il riconoscimento come punteggio del servizio prestato per i cococo che hanno una anzianità di almeno 3 anni nell'ultimo quinquennio a tale data. |
Art. 3 |
Comma 112 |
Possibilità di assunzione nelle PA che li utilizzano del personale delle poste e del poligrafico dello Stato comandato presso tali amministrazioni e già interessato da proroghe previste da norme di legge. |
Art. 3 |
Comma 116 |
Limiti alle assunzioni nelle camere di commercio. |
Art. 3 |
Comma 120 |
Possibilità per gli enti soggetti al patto di stabilità di derogare motivatamente al tetto di spesa per il personale, fermo restando il rispetto del patto di stabilità , se: ha rispettato il patto negli ultimi 3 anni; il volume della spesa per il personale non è superiore a quello previsto ai fini dell'accertamento delle condizioni di ente strutturalmente deficitario e se il rapporto tra dipendenti e popolazione non supera quello previsto per gli enti dissestati. |
Art. 3 |
Comma 121 |
Gli enti non soggetti al patto possono derogare motivatamente dal tetto della spese per il personale se: il volume della spesa per il personale non è superiore a quello previsto ai fini dell'accertamento delle condizioni di ente strutturalmente deficitario ridotto del 15% e se il rapporto tra dipendenti e popolazione non supera quello previsto per gli enti dissestati ridotto del 20%. |
Art. 3 |
Comma 123 |
Estensione ai familiari di vittime di incidenti sul lavoro del diritto al collocamento obbligatorio |
Art. 3 |
Comma 124 |
Misure per la mobilità straordinaria del personale pubblico |
Art. 3 |
Comma 125 |
Regole per l'attuazione degli interventi di mobilitò straordinaria del personale pubblico |
Art. 3 |
Comma 126 |
Estensione della mobilità straordinaria ai sottoufficiali in esubero |
Art. 3 |
Comma 127 |
Estensione della mobilità straordinaria ai docenti dichiarati inidonei |
Art. 3 |
Comma 129 |
Istituzione presso la Funzione Pubblica della banca dati di domanda ed offerta per favorire i processi di mobilità |
Art. 3 |
Comma 130 |
La banca dati della domanda ed offerta di personale pubblico costituisce base dati di interesse nazionale |
Art. 3 |
Comma 131 |
Tetto agli oneri per il rinnovo dei contratti dei dipendenti statali per il biennio 2006/2007. |
Art. 3 |
Comma 137 |
Esclusione per l'anno 2008 per regioni ed enti locali dei maggiori oneri di personale dal patto di stabilità . |
Art. 3 |
Comma 138 |
Copertura dei maggiori oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per i segretari comunali e provinciali con la introduzione del principio della onnicomprensività ed anche utilizzando 5 mln di euro del fondo per la mobilità per gli enti locali non soggetti al patto di stabilità |
Art. 3 |
Comma 141 |
Il tetto agli incrementi comprende anche Irap ed oneri contributivi. |
Art. 3 |
Comma 142 |
Lo stesso tetto percentuale di incremento previsto per gli statali si applica anche a tutti gli altri dipendenti pubblici. Gli oneri per i contratti 2006-2007 sono a carico del bilancio statale per gli enti non soggetti al patto di stabilità |
Art. 3 |
Comma 143 |
Tetto per gli aumenti contrattuali al personale statale per gli anni 2008/2009 |
Art. 3 |
Comma 145 |
Il tetto agli aumenti comprende anche Irap ed oneri contributivi |
Art. 3 |
Comma 146 |
Lo stesso tetto percentuale di incremento previsto per gli statali si applica anche a tutti gli altri dipendenti pubblici |
La legge finanziaria per l'esercizio 2008 (legge n. 244/2007, pubblicata in G.U. n. 300 del 28 dicembre 2007, supplemento ordinario n. 285) contiene diverse novità in tema di personale (nella presente trattazione ci si limita a una lettura commentata con le più recenti pronunce giurisprudenziali ed i pareri ministeriali e della magistratura contabile delle principali disposizioni di interesse dei Comuni).
Rispetto alle leggi finanziarie precedenti non si leggono infatti disposizioni esplicite né in tema di limitazioni alle assunzioni a tempo indeterminato, anzi, né in tema di limiti alle spese di personale; è da sottolineare la modifica di norme contenute nel Testo Unico Pubblico Impiego (d.lgs. n. 165/2001) che disciplinano i rapporti di lavoro flessibili.
La legge finanziaria strumento di coordinamento della finanza pubblica viene impropriamente utilizzata per modificare norme che caratterizzano il rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, riportando nella disciplina dello stesso una notevole differenza rispetto alla regolamentazione del rapporto di lavoro privato, in contrasto con il principio di cui all'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 165/2001.
Peraltro l'introduzione di tali modifiche attraverso lo strumento legislativo in luogo di quello contrattuale, trattandosi di aspetti del rapporto di lavoro già regolati dal CCNL 14.9.2000, riporta il pubblico impiego verso la pubblicizzazione.
COMUNI SOTTOPOSTI AL PATTO DI STABILITÁ: OBBLIGO DI CONTENIMENTO DELLE SPESE DI PERSONALE CON POSSIBILITÁ DI DEROGAPrima di entrare nella disamina delle singole disposizioni della legge, soprattutto con riferimento alla stabilizzazione di personale, è utile ricordare che rimane vigente il principio di cui all'art. 1 comma 557, legge finanziaria 2007 (l. n. 296/2006), così come anche si desume dall'art. 3, comma 120, legge finanziaria 2008, in particolare:
«Ai fini del concorso delle autonomie locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica...gli enti sottoposti a patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, anche attraverso la razionalizzazione delle strutture burocraticoamministrative...».
La legge finanziaria 2008, con l'art. 3, comma 120, prevede tuttavia una possibilità di deroga:
«All'articolo
1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è aggiunto... il
seguente periodo: «Eventuali deroghe ai sensi dell'articolo 19, comma
8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (1),
fermi restando i vincoli fissati dal patto di stabilità per l'esercizio
in corso, devono comunque assicurare il rispetto delle seguenti
ulteriori condizioni:
a) che l'ente abbia rispettato il patto di stabilità nell'ultimo triennio;
b) che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio
non sia superiore al parametro obiettivo valido ai fini
dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario
c) che il rapporto medio tra i dipendenti in servizio e la popolazione
residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di
dissesto» (2).
La possibilità di derogare alla riduzione dei costi di personale deve
essere rigorosamente limitata ai casi in cui è possibile rispettare le
condizioni indicate in modo preciso dalla norma; resta in ogni caso
fermo l'obbligo a carico degli enti dell'analitica motivazione della
deroga al contenimento delle spese (3).
La ratio di tale aggiunta è ravvisabile nei pareri discordanti emanati
nell'anno 2007 sul principio di cui all'art. 1, comma 557, legge finanziaria 2007, in particolare:
Parere Ministero dell'Economia |
Il dettato normativo è da intendersi come obiettivo generale di contenimento delle spese di personale; la finalità della norma è quella di porre l'accento sull'importanza strategica della spesa per il personale, sensibilizzando gli enti ad una particolare attenzione nel controllare l'andamento e la dinamica di tale tipologia di spesa. |
Corte Conti Umbria |
La collocazione del comma 557 nell'ambito degli obiettivi di finanza pubblica, sottolinea il carattere di norma cogente , per cui l'amministrazione non dispone di discrezionalità riguardo alla sua applicazione. E nemmeno è discrezionale il parametro di riferimento: è vero infatti che la Finanziaria disapplica i commi 198 e ss. legge n. 266/2005, ma la disapplicazione riguarda solo il 2007 mentre per gli anni precedenti la norma è in vigore. Ne consegue che in assenza di un'esplicita indicazione legislativa il parametro di riferimento è l'esercizio più vicino (4). |
Corte dei Conti Piemonte Corte dei Conti Veneto |
1. esiste un obbligo preciso di ridurre le spese di personale nel 2007 2. la base di calcolo su cui operare la riduzione è la spesa di personale sostenuta nel 2006 3. i criteri per qualificare la spesa di personale sono i medesimi utilizzati per la riduzione ex comma 198 Finanziaria 2006 (vedi circolari n. 8 e 9 MEF 17.2.2006) |
Anche per questi enti rimane vigente quanto sancito dall'art. 1, comma 562, legge finanziaria 2007, così come confermato dall'art. art. 3, comma 121, l. n. 244/2007:
«Per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali non devono superare il corrispondente ammontare dell'anno 2004. Gli enti possono procedere all'assunzione di personale nel limite delle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale di cui al comma 558».
La legge n. 244/2007 introduce anche per i piccoli Comuni una possibilità di deroga:
«All'articolo
1, comma 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è aggiunto, in
fine, il seguente periodo: «Eventuali deroghe ai sensi dell'articolo
19, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, devono comunque
assicurare il rispetto delle seguenti condizioni:
a) che il volume
complessivo della spesa per il personale in servizio non sia superiore
al parametro obiettivo valido ai fini dell'accertamento della
condizione di ente strutturalmente deficitario, ridotto del 15 per
cento;
b) che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione
residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di
dissesto, ridotto del 20 per cento».
Riguardo all'applicazione di tale norma il quesito che i Comuni hanno posto con maggiore frequenza nel corso del 2007 è stato quello relativo alla possibilità di considerare le mobilità in uscita come cessazioni.
Di recente alcuni pareri e sentenze hanno chiarito la questione:
Corte dei Conti Sardegna |
L'entrata in vigore della legge finanziaria 2007 ha determinato la disapplicazione del DPCM del 15.2.2006, visto che ha dettato una disciplina completamente diversa in tema di limiti alle assunzioni a tempo indeterminato di personale. E' perciò da considerare disapplicata anche la norma che vieta di equiparare le mobilità in uscita alle cessazioni di personale |
TAR Sardegna |
Ritiene inderogabile l'obbligo di prevedere la procedura volontaria prima di indire un concorso pubblico, obbligo non derogabile dall'autonomia dei singoli enti (5). |
La legge finanziaria interviene in modo incisivo su tali tipologia contrattuale, limitando fortemente la possibilità per i Comuni di ricorrervi.
In particolare l'art. 3, commi 76, 77 e 79, l. n. 244/2007 interviene su:
a) Contratti di collaborazione coordinata e continuativa
La norma del Testo Unico Pubblico Impiego che regola tal tipologia
contrattuale (art. 7), viene nuovamente modificata dall'art. 3, comma
76, legge n. 244/2007: l'espressione «di provata competenza» viene sostituita con «di particolare e comprovata specializzazione universitaria».
Il DL n. 223/2006 è intervenuto sulla norma al fine di restringere il
più possibile il ricorso a tale tipologia di lavoro prevedendo:
«Per
esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le
amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con
contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e
continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione
universitaria, in presenza dei seguenti presupposti:
a) l'oggetto
della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e
progetti specifici e determinati;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l'impossibilita' oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili
al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
6bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche,
secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento
degli incarichi di collaborazione.
6ter. I regolamenti di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico
di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai
principi di cui al comma 6».
Rimane tuttavia da chiarire con urgenza cosa si debba intendere per
particolare e comprovata specializzazione universitaria, in particolare
se è da ritenersi sufficiente il biennio di specializzazione
postlaurea o meno.
Una interpretazione sistematica dei diversi
commi dell'art. 7, d.lgs. n. 165/2001 consentono di affermare che per
attivare in modo legittimo contratti di collaborazione coordinata e
continuativa occorre il rispetto di tutte le condizioni sopra descritte
e che il biennio di specializzazione postlaurea è il livello minimo ma
non sufficiente per integrare il requisito della particolare e
comprovata specializzazione universitaria tenuto conto che deve
trattarsi di prestazioni altamente qualificate; i titoli che deve
possedere il soggetto con cui si stipula il contratto dovranno essere
individuati e valutati di volta in volta, in base all'oggetto della
collaborazione.
Nell'ultima votazione alla Camera dei Deputati è stato inoltre
individuato un ambito di esenzione rispetto ai requisiti sopra
descritti:
«All'articolo
7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
6quater.
Le disposizioni di cui ai commi 6, 6bis e 6ter non si applicano ai
componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di
valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui
all'articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (6) » (art. 3, comma 77, legge n. 244/2007).
b) Utilizzo di contratti di lavoro flessibile
La nuova disciplina dell'art. 36, d.lgs. n. 165/2001, così come
definita dall'art. 3, comma 79, legge finanziaria 2008, costituisce la
vera novità normativa.
La legge finanziaria prima di introdurre le
modifiche all'art. 36, d.lgs. n. 165/2001, richiama l'art. 560 legge
finanziaria 2007, che vincola le p.a. di cui al comma 557 (tra cui le
autonomie locali) a riservare il 60% dei posti programmati per le
assunzioni a tempo determinato, ai soggetti con i quali hanno stipulato
uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa,
eccetto quelli di nomina politica, per la durata complessiva di almeno
un anno raggiunta alla data del 29 settembre 2006.
L'art. 36, d.lgs. n. 165/2001 (7) , nella formulazione in vigore dall'1 gennaio 2008 prevede:
Regole ed eccezioni «comma
1. Le p.a. assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato
a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali
di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui
rapporti di lavoro subordinato nell'impresa se non per esigenze
stagionali o per periodi non superiori a tre mesi fatte salve le
sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali.
Il provvedimento di assunzione deve contenere l'indicazione del
nominativo della persona da sostituire.
2. In nessun caso è ammesso
il rinnovo del contratto o l'utilizzo del medesimo lavoratore con altra
tipologia contrattuale.
3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed
eccezionali attraverso l'assegnazione temporanea di personale di altre
amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non
rinnovabile.
4. Le disposizioni di cui ai commi 1,2 e 3 non possono essere derogate
dalla contrattazione collettiva.
5. Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri Dipartimento della Ragioneria Generale dello
Stato, le convenzioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente
utili».
Da evidenziare la limitazione temporale per l'attivazione dei comandi di personale.
Sanzioni «comma 6. In ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Le p.a. che operano in violazione delle disposizioni di cui al presente articolo non possono effettuare assunzioni ad alcun titolo per il triennio successivo alla suddetta violazione»
Il divieto è volto
principalmente ad apportare correttivi alla disciplina relativa
all'utilizzazione degli incarichi e delle forme di lavoro flessibile a
cui le p.a. hanno fatto ricorso agevolmente in vigenza dei cd. blocchi
delle assunzioni, determinando un incremento delle spese di personale;
lo scopo è quello di prevenire l'uso non appropriato di tali tipologie
contrattuali che ha contribuito al fenomeno della precarietà del lavoro
con le conseguenti richieste di stabilizzazione.
Ancora una volta
l'introduzione di una norma con un ambito soggettivo di applicazione
generalizzata penalizza anche le amministrazioni cd. virtuose che non
hanno abusato dei rapporti di lavoro flessibili e che dunque non hanno
ricorso alle forme di stabilizzazione oppure ne hanno fatto
un'applicazione del tutto limitata.
Se da un lato l'introduzione del divieto non è che la naturale
conseguenza dell'equazione flessibile=precario (8),
dall'altro lato così formulata la disposizione costituisce un'ingerenza
nell'autonomia organizzativa degli enti, sancita dagli artt. 2 e 5,
d.lgs. n. 165/2001.
L'esclusione dal divieto dei contratti
finalizzati a sostituire personale assente per maternità è stata
introdotta soltanto nell'ultima approvazione alla Camera dei Deputati,
poiché nell'originaria formulazione l'esiguo lasso temporale di durata
dei contratti non era nemmeno pari al periodo di astensione
obbligatoria per maternità di cui al d.lgs. n. 151/2001, rischiando di
mettere in difficoltà gli enti nello svolgimento delle funzioni
amministrative; i Comuni avrebbero infatti dovuto scorrere la
graduatoria per le assunzioni a termine o comunque stipulare un nuovo
contratto con un altro lavoratore decorsi i tre mesi.
E' da sottolineare la sanzione del divieto ad assumere che per la prima
volta viene prevista nei confronti degli enti autori di abusi nella
gestione di contratti flessibili (9).
Viene mantenuta la regola per cui i contratti stipulati in violazione
del divieto non possono trasformarsi in contratti a tempo
indeterminato, un'altra rilevante differenza tra datore di lavoro
pubblico e privato; su tale differenza si è altresì pronunciata la
Corte di Giustizia delle Comunità Europee (sentenze 7.9.2006, C53/04 e
C180/04) che salva la diversità rispetto al contenuto della direttiva
comunitaria (1999/70/CE) a causa della previsione comunque di una
sanzione a fronte dell'utilizzo abusivo di una successione di contratti
a tempo determinato da parte di un lavorato rientrante nel settore
pubblico.
Deroghe al divieto di ricorrere a rapporti di lavoro flessibili «7.
Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli
uffici di cui all'art. 14, comma 2, del presente decreto, nonché agli
uffici di cui all'art. 90, d.lgs. n. 267/2000. Sono altresì esclusi i
contratti relativi agli incarichi dirigenziali ed alla preposizione ad
organi di direzione, consultivi e di controllo delle p.a. ivi inclusi
gli organismi operanti per le finalità di cui all'articolo 1 della
legge 17 maggio 1999, n. 144.» (art. 3, comma 79, legge n. 244/2007).
La deroga riguarda dunque gli uffici di diretta collaborazione con gli
organi politici, oltre a quelli espressamente citati nella norma,
l'inclusione nell'ambito della deroga degli organismi di cui alla legge
n. 144/1999 è avvenuta con l'approvazione del testo da parte della
Camera dei Deputati.
«10. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di programmi o attività i cui oneri sono finanziati con fondi dell'Unione europea e del Fondo per le aree sottoutilizzate».
Tale comma è stato introdotto nel testo approvato alla Camera dei Deputati lo scorso 13 dicembre.
Comuni fino a 5.000 abitanti «Gli enti locali non sottoposti a patto di stabilità interno e che comunque abbiano una dotazione organica non superiore alle 15 unità possono avvalersi di forme contrattuali di lavoro flessibile oltre che per le finalità di cui al comma 1, per la sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, semprechè nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua assunzione» (art. 3, comma 79, l. n. 244/2007).
Riduzione degli oneri per le assunzioni a termine «Con effetto dall'anno 2008 è ridotto al 35% il limite del previdente tetto della spesa 2003 degli oneri che le p.a. possono sostenere nell'anno 2007 per le assunzioni di personale a tempo determinato».
LAVORO STRAORDINARIO«Le
pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro
straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione
automatica delle presenze» (art. 3, comma 83, legge n. 244/2007).
Tenuto conto del principio di cui all'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 165/2001, secondo cui «l'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi», sarebbe
stato più rispettoso del sistema delle fonti che governano il pubblico
impiego lasciare alla contrattazione collettiva una tale previsione.
Certamente la qualità dei servizi pubblici e l'efficienza degli stessi,
così come previsti dal "Memorandum sul lavoro pubblico" sottoscritto lo
scorso 6 aprile, che richiedono rapporti di lavoro gestiti con
orientamento agli obiettivi ed ai risultati, in altre parole la
produttività del lavoro pubblico riescono a far comprendere la ratio di
tale disposizione, soprattutto considerata l'assenza dell'ipotesi di
CCNL per il quadriennio 20062009.
Prima di affrontare tutto il tema delle stabilizzazioni di personale che viene consentito anche per l'anno 2008, la legge finanziaria si occupa di due aspetti:
l'indicazione di procedere alle assunzioni di personale autorizzate e in deroga al blocco delle assunzioni in base alla legge finanziaria 2005, entro il 31 maggio 2008
le graduatorie modificando l'art. 35, d.lgs. n. 165/2001:
«Le
graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le
pubbliche amministrazioni rimangono vigenti per un termine di tre anni
dalla data della pubblicazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza
inferiori previsti dalle leggi regionali» (art. 3, comma 87, legge n. 244/2007).
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (10)
ha stabilito che le p.a. prima di bandire un nuovo concorso sono
obbligate a ricoprire le vacanze di organico attingendo alle
graduatorie esistenti.
E' l'argomento principe anche di questa legge finanziaria, in
continuità con la legge finanziaria 2007 e con il Memorandum sul Lavoro
Pubblico.
Tuttavia trattandosi di norme espressione del compromesso
politico all'interno della maggioranza di Governo rivelano più di un
difetto.
La speciale modalità di assunzione prevista per l'anno 2007 viene
applicata anche nei confronti di coloro che maturano i requisiti nel
corso dell'anno 2007, facendo crescere le aspettative dei lavoratori
cd. precari:
«Fermo
restando che l'accesso ai ruoli della p.a. è comunque subordinato
all'espletamento di procedure selettive di natura concorsuale o
previste da norme di legge e fatte salve le procedure di
stabilizzazione di cui all'art. 1, comma 519 (11), l. n. 296/2006, per gli anni 2008 e 2009:
...b) le amministrazioni ...locali possono ammettere alla procedura di
stabilizzazione di cui all'art. 1, comma 558, l. n. 296/2006, anche il
personale che consegua i requisiti di anzianità in servizio ivi
previsti in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 28
settembre 2007 (12).
Le amministrazioni continuano ad avvalersi del personale nelle more delle procedure di stabilizzazione» (art. 3, commi 90 e 92).
Quest'ultimo obbligo pone un dubbio di legittimità costituzionale con
riferimento all'autonomia organizzativa degli enti ed alla copertura
finanziaria, è tuttavia chiaro che lo stesso deve essere rispettato.
La prima parte della disposizione realizza un'estensione soggettiva
rispetto alla legge finanziaria 2006, spostando di un anno la data
entro cui maturare i requisiti per poter essere stabilizzati.
Viene poi introdotta una clausola di salvaguardia resa necessaria dal generale divieto di stipulare contratti a termine.
«Fatte
comunque salve le intese stipulate, ai sensi dei commi 558 e 560
dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, prima della data
di entrata in vigore della presente legge, entro il 30 aprile 2008 le
p.a. predispongono, sentite le organizzazioni sindacali, nell'ambito
della programmazione triennale dei fabbisogni per gli anni 2008, 2009 e
2010, piani per la progressiva stabilizzazione del seguente personale
non dirigenziale, tenuto conto dei differenti tempi di maturazione dei
presenti requisiti:
a) in servizio con contratto a tempo
determinato ai sensi dei commi 90 e 92 in possesso dei requisiti di cui
all'art. 1, commi 519, 538, legge n. 296/2006
b) già utilizzato con contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, in essere alla data di entrata in vigore della presente
legge e che alla stessa data abbia già espletato attività lavorativa
per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio
antecedente al 28 settembre 2007, presso la stessa amministrazione,
fermo restando quanto previsto dall'art. 1,comma 560 delle legge n.
296/2006. E' comunque escluso dalle procedure di stabilizzazione ...il
personale di diretta collaborazione degli organi politici presso le
p.a.» (art. 3, comma 94, legge n. 244/2007).
«Anche
per le finalità indicate dal comma 94, le amministrazioni pubbliche di
cui al comma 90, nel rispetto dei vincoli finanziari e di bilancio
previsti dalla legislazione vigente, possono continuare ad avvalersi
del personale assunto con contratto a tempo determinato sulla base
delle procedure selettive previste dall'art. 1, commi ... 560, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296» (art. 3, comma 95, legge n. 244/2007).
Questa disposizione costituisce la vera novità , per almeno un paio di aspetti:
a differenza dell'art. 1, comma 558 legge finanziaria 2006, che affermava «gli enti...possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione...», la nuova disposizione usa il termine "predispongono...piani".
Il TAR Veneto, sez. II, il 19 ottobre 2007, con la sentenza n. 3342, ha
affermato che l'art. 1, comma 558, legge finanziaria 2007, non obbliga
gli enti locali a stabilizzare, né tantomeno li invita, dunque gli
interessati non sono titolari di un diritto soggettivo ad ottenere la
stabilizzazione, bensì di una mera aspettativa di fatto; la
stabilizzazione è une mera facoltà discrezionale almeno con la vigenza
della precedente legge finanziaria.
L'attuale formulazione della
norma con l'uso del verbo predispongono sembra obbligare i Comuni,
qualora siano in grado di realizzare il contenimento della dinamica
occupazionale e retributiva di cui all'art.1, comma 557, l. n.
266/2006, a realizzare piani per la stabilizzazione del personale in
possesso dei requisiti, entro il 30 aprile 2008.
Una lettura sistematica delle disposizioni della legge
finanziaria 2008 esclude l'obbligo, coerentemente con le norme
generali, riportando la stabilizzazione nell'ambito delle diverse
modalità per l'assunzione del personale, in concorrenza con lo
scorrimento delle graduatorie, nuovi concorsi, progressioni verticali;
l'art. 3, comma comma 90, lett. b, parla infatti di "possono ammettere alle procedure di stabilizzazione".
esplicita il livello di relazione sindacale, conseguente alle
previsione per cui la stabilizzazione in quanto modalità di assunzione
deve essere prevista nel Programma triennale dei fabbisogni
professionali che gli enti sono obbligati ad adottare a norma dell'art.
6 d.lgs. n. 165/2001.
La prima parte delle disposizione è stata introdotta con l'ultima
approvazione alla Camera dei Deputati, lo scopo è quello di
salvaguardare gli accordi sottoscritti con le organizzazioni sindacali
sulla base della previgente legge finanziaria, e magari appunto non
contenuti nella programmazione triennale dei fabbisogni, nonché secondo
taluni garantire la salvaguardia delle intesa anche se i criteri
previsti per la stabilizzazione non sono rigidi e a rischio di
contestazione (es. il vincolo del superamento di prova selettiva che in
taluni accordi è stata tradotta nel superamento di un colloquio orale e
nella valutazione di titoli).
Anche la lettera b) e l'ultima parte della norma introdotta nell'ultimo
testo approvato, pongono alcune questioni interpretative.
Come infatti si può parlare di stabilizzazione di personale con
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa? Trattasi infatti
di personale scelto senza alcuna forma selettiva, ci sarebbe dunque
violazione del principio di cui all'art. 97 Cost.; in tale senso il
testo della legge finanziaria così come definitivamente approvato,
sembra chiarire che per stabilizzare i co.co.co.sarà necessario passare
per l'assunzione a termine in base all'art. 1, comma 560, legge
finanziaria 2006, ma taluni dubbi interpretativi che il Dipartimento
della Funzione Pubblica dovrà chiarire permangono poiché:
qual è la sorte dei co.co.co. che nel corso del 2008 cesseranno di efficacia per scadenza temporale?
significa che le co.co.co. potranno essere stabilizzate solo a tempo
determinato e poi si vedrà oppure che le anche le stesse saranno
trasformate previa procedura selettiva a tempo indeterminato?
Il "Fondo per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblici"finalizzato a piani di stabilizzazione straordinari, viene incrementato per l'anno 2008 di 20 milioni di euro (art. 3, comma 97, legge n. 244/2007).
Contratti di formazione e lavoroI contratti prorogati lo scorso anno e non convertiti entro il 31 dicembre 2007 sono prorogati al 31 dicembre 2008; tale disposizione in assenza di blocchi delle assunzioni a tempo indeterminato, almeno di tipo esplicito, si rende necessaria perché trattasi di rapporti di lavoro a termine, almeno fino al momento della conversione, e infatti regolate dal previgente all'art. 36, d.lgs. n. 165/2001 (art. 3, comma 100, legge n. 244/2007).
Part time«Per il personale assunto con contratto di lavoro a tempo parziale la trasformazione del rapporto a tempo pieno può avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni. In caso di assunzione di personale a tempo pieno è data precedenza alla trasformazione del rapporto di lavoro per i dipendenti assunti a tempo parziale che ne abbiano fatto richiesta» (art. 3, comma 101, legge n. 244/2007).
Riserve nei concorsi«...i bandi di concorso per le assunzioni a tempo indeterminato nelle pubbliche amministrazioni possono prevedere una riserva di posti non superiore al 20 per cento dei posti messi a concorso per il personale non dirigenziale che abbia maturato almeno tre anni di esperienze di lavoro subordinato a tempo determinato presso pubbliche amministrazioni in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 28 settembre 2007, nonché il riconoscimento, in termini di punteggio, del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio antecedente al 28 settembre 2007, in virtù di contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati anteriormente a tale data» (art. 3, comma 106, legge n. 244/2007).
(1) «A decorrere dall'anno 2002 gli organi di revisione contabile degli enti locali di cui all'articolo 2 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, accertano che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione complessiva della spesa di cui all'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate».
(2) Viene riesumata una norma introdotta con la legge finanziaria 2002, (art. 19, comma 8, legge n. 448/2001), che si era ritenuto fosse da considerare disapplicata per effetto delle leggi finanziarie successive, prevedendo tetti alle assunzioni precisi, sicchè la possibilità di deroga era considerata incompatibile con i sistemi di fissazione analitica dei costi di personale.
(3) Cfr. "Personale, i Comuni fanno da sé", di L. Olivieri, Italia Oggi, del 9.11.2007, pag. 19
(4) Riassumendo: la spesa del 2007 deve essere inferiore a quella del 2006, che a sua volta doveva essere ridotta dell'1% rispetto a quella sostenuta nel 2004. Gli enti che non hanno seguito questo percorso, sono tenuti a effettuare una variazione di bilancio incappare nel giudizio negativo della Corte dei Conti (Vedi "Spese per il personale, tagli vincolati nel 2007", di G. Trovato, in Il Sole 24 Ore, del 3 novembre 2007.
(5) Cfr. La mobilità vale come la cessazione, di A. Bianco, in "Il Sole 24 Ore", del 3.12.2007.
(6) E' la legge relativa agli incentivi all'occupazione.
(7) Nella formulazione attualmente vigente l'art. 36, d.lgs. n. 165/2001, sancisce:
«1. Le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul
reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, si avvalgono
delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del
personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di
lavoro subordinato nell'impresa. I contratti collettivi nazionali
provvedono a disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato,
dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e
della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, in applicazione di
quanto previsto dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, dall'articolo 23
della legge 28 febbraio 1987, n. 56, dall'articolo 3 del decreto legge
30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19
dicembre 1984, n. 863, dall'articolo 16 del decreto legge 16 maggio
1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994,
n. 451, dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, nonché da ogni successiva
modificazione o integrazione della relativa disciplina.
1bis. Le
amministrazioni possono attivare i contratti di cui al comma 1 solo per
esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento di procedure
inerenti assegnazione di personale anche temporanea, nonché previa
valutazione circa l'opportunità di attivazione di contratti con le
agenzie di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per la somministrazione a tempo
determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei
servizi.
1ter.
Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero
dell'economia Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, le
convenzioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili.
2. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti
l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche
amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di
lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni,
ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore
interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla
prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le
amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale
titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione
sia dovuta a dolo o colpa grave».
(8) Cfr. La corsa alle assunzioni penalizza i servizi", di F. Verbaro, in "Il Lavoro nel Pubblico Impiego", n. 12/2007.
(9) Di recente la Corte Costituzionale ha avuto occasione di affermare la legittimità delle leggi statali che impongono agli enti locali limiti specifici e puntuali quali il blocco delle assunzioni, quando sono indirizzati a enti che hanno sforato i tetti di spesa, poiché in tal caso i limiti diventano essenziali per conseguire i vincoli di finanza pubblica (C. Cost. n. 412 del 5.12.2007).
(10) C. Cass. N. 20846, del 5 ottobre 2007.
(11) Si tratta delle stabilizzazioni che possono essere realizzate con oneri a carico del Fondo Nazionale.
(12) L'art. 1, comma 558, legge n. 296/2006, sancisce che: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti di cui al comma 557 fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno, possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno 3 anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge...Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di procedure selettive».
Il
revisore dei conti dell'ente locale ha ancora una sua identità ?
Difficile crederlo, considerando l'evoluzione normativa degli ultimi
anni e ancora di più quella preannunciata per il futuro, con la riforma
del T.U. (D.Lgs 267/2000) e con norme specifiche sui controlli,
soprattutto normative che non si sa che ruolo daranno al revisore, oggi
più che mai disorientato nelle funzioni attribuitegli; organo di
controllo a supporto del Consiglio dell'ente locale o della Corte dei
conti? Una certezza è però acquisita: la crescente preoccupante
responsabilità che coinvolge il revisore.
Un breve excursus storico.
Il nuovo ruolo che il legislatore sta attribuendo agli enti locali,
tendente ad un loro posizionamento più "strategico" in un contesto
economico e sociale non ha lasciato indenne l'organo di revisione, in
quanto organo di controllo "interno" dell'ente. Dagli anni novanta, con
la Legge 142/1990, l'organo di revisione negli enti locali è divenuto
supporto all'azione amministrativa, nel perseguimento e miglioramento
dell'efficienza, dell'efficacia e della economicità gestionale,
acquisendo un ruolo da protagonista nel processo di cambiamento e tale
ruolo non sembrava arrestarsi nella sua evoluzione in tal senso.
Non solo l'attività dell'organo di revisione si è ampliata per
disposizioni legislative, ma anche per una più incisiva e definita
"disciplina comportamentale" contenuta nei Principi Contabili
(predisposti dall'Osservatorio per la finanza e la contabilità degli
enti locali) e nei Principi di Revisione (approvati dai Consigli
Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri), che
costituiscono sia un insieme di interpretazioni e chiarimenti
dell'ordinamento contabile, sia un più puntuale approccio del revisore
ai compiti a lui attribuiti.
La
revisione nell'ente locale si è così, poco a poco, definita su più
livelli: da una vigilanza amministrativa, contabile e gestionale ad una
vigilanza sui sistemi di controllo interno, ad uno di proposta sulle
materie aventi natura economicofinanziaria; tutte tipologie di
funzioni riscontrabili nel D.Lgs 267/2000.
La funzione di vigilanza
amministrativa è delineata dall'art. 239 (comma 1, lett. c ed e), e si
esplica con l'accertamento della regolarità della gestione circa la
correttezza dei singoli atti amministrativi, la loro fedele annotazione
nelle scritture contabili, nonché l'esattezza degli adempimenti sotto
l'aspetto fiscale.
Non è da trascurare il compito delle verifiche di cassa (art. 239,
comma 1, lett. f) di cui all'art. 223, alla verifica della gestione del
servizio di tesoreria (art. 226) e alla verifica degli altri agenti
contabili (art. 233), nonché alle verifiche straordinarie a seguito del
mutamento della persona del Sindaco di cui all'art. 224.
Sempre nell'ambito dell'art. 239, comma 1, lett. d) viene attribuita al
revisore la funzione di vigilanza contabile (con la relazione al
rendiconto di gestione e parere al bilancio di previsione e sulle
relative successive variazioni); di vigilanza gestionale quando il
revisore esprime rilievi, considerazioni e proposte tendenti a
conseguire una maggiore efficienza, produttività ed economicità della
gestione, rimanendo pur sempre in ambito della collaborazione
importante sottolinearlo , non della "consulenza", come si è spesso
erroneamente orientati a considerare l'intervento del revisore.
Infatti, per "consulenza" dovrebbe intendersi un supporto propositivo
di soluzioni, sostenute da analisi approfondite, relative a
problematiche sconosciute, o poco conosciute, oggetto di scelte
strategiche o innovative che l'ente deve intraprendere: ben altra cosa
rispetto alla collaborazione per la quale, in assenza di precise
normative, ci si può riferire a quanto indicato nella delibera n.
2/1992 della Corte dei conti ( approvazione delle piante organiche e
disciplina delle assunzioni; acquisizione ed alienazione di immobili;
disciplina generale di tributi, tariffe, contribuzioni, canoni di
concessione e prezzi di cessione delle aree fabbricabili e dei
fabbricati in regime pubblicistico; approvazione dei piani
economicofinanziari e loro variazioni; convenzione con altri enti;
concessione a terzi di servizi pubblici; salvaguardia degli equilibri).
L'opinione su esposta viene avvalorata anche nel raffronto con un
organo aziendale a cui l'organo di revisione viene comunemente
equiparato: il collegio sindacale, soprattutto con la chiara
definizione dei suoi compiti in seguito alla riforma del diritto
societario avvenuta nel 2004. Non si trascuri inoltre il divieto,
espressamente imposto ai componenti dell'organo di revisione dall'art.
236 comma 3, di assumere incarichi o consulenze sia presso l'ente
locale, sia presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque
sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso. In tal senso sembra
che il legislatore abbia voluto ben definire e chiarire la dicotomia
tra "collaborazione" e "consulenza".
Le medesime osservazioni valgono per il processo di controllo di
gestione; il controllo di gestione non fa riferimento
A
questi sufficientemente espliciti compiti dell'organo di revisione,
sono intervenuti altri adempimenti che hanno attribuito, al revisore
degli enti locali, una configurazione sempre più da "connettore" tra il
sistema dei controlli interni e la Corte dei conti, soprattutto
attraverso la Legge costituzionale n. 3/2001 che ha soppresso il
Coreco, potenziando l'autonomia decisionale interna dell'ente locale
anche attraverso un maggior coinvolgimento dell'organo di revisione
all'interno del sistema di controlli e le disposizioni delle Leggi
finanziarie degli ultimi anni, che da un lato hanno rafforzato il
controllo esterno con specifiche attribuzioni di funzioni di controllo
alla Corte dei conti e dall'altra hanno esteso le funzioni dei revisori
degli enti locali.
L'intervento più significativo in tal senso,
investendo il revisore dei conti del ruolo di "principale attore" nella
verifica del patto di stabilità interno, è contenuto nella L. 266/05
(finanziaria 2006) con la quale viene richiesto all'organo di
revisione, con gli artt. 166, 167 e 168, di trasmettere alle competenti
sezioni regionali della Corte dei conti una relazione sul bilancio di
previsione dell'esercizio di competenza e sul rendiconto del medesimo
esercizio.
I predetti adempimenti sono integrati con specifiche ulteriori
richieste ad opera delle Sezioni Regionali della Corte dei conti, per
il tramite ancora una volta dell'organo di revisione.
Non si trascurino inoltre i controlli sul personale, richiesti
anch'essi esplicitamente, che stanno divenendo sempre più incisivi, sia
in fase previsionale che consuntiva, coinvolgendo quindi l'organo di
revisione anche nel controllo su uno degli aspetti fondamentali della
gestione degli enti locali.
Che cosa dire delle "gravi irregolarità contabili e finanziarie in
ordine alle quali l'amministrazione dell'ente non abbia adottato le
misure correttive segnalate dall'organo di revisione", come sopra
evidenziato, e delle gravi irregolarità di gestione previste dall'art.
239, comma 1, lett. e), del T.U. ? L'individuazione della casistica
delle gravi irregolarità contabili e finanziarie, nonché di quelle di
gestione (che potrebbero essere considerate anche irregolaritÃ
contabili e finanziarie), in presenza delle quali l'organo di revisione
deve riferire immediatamente al Consiglio, è quanto mai complessa e non
va inoltre sottovalutata la "diligenza" che il revisore deve osservare
nello svolgimento delle sue funzioni; circa quest'ultimo aspetto
dispone direttamente l'art. 240 T.U. quando afferma che i revisori
adempiono ai loro doveri con la diligenza del mandatario, ossia con la
professionalità e la diligenza richiesti dalla natura dell'incarico
(come previsto dall'art. 2407 c.c. per i Sindaci delle Società per
azioni). Il criterio della "diligenza" deve sempre guidare i revisori
nello svolgimento delle proprie attività e deve orientare gli stessi a
effettuare verifiche quanto più approfondite affinché l'espletamento
diligente li cauteli dalle responsabilità conseguenti alla verifica di
irregolarità gestionali, indipendentemente dalla loro gravità .
Coordinando le due disposizioni sopra esaminate (obbligo di referto e
diligenza richiesta) si può, in linea di principio, affermare che il
revisore deve agire in presenza di irregolarità gravi che possono
essere rilevate usando la dovuta diligenza. Con ciò si vuol dire che il
revisore non può essere imputato di non aver messo a referto fatti
gravi realmente accaduti ma dei quali, nell' esercizio delle sue
funzioni, "solo" difficilmente avrebbe potuto venirne a conoscenza.
Considerando quanto esposto obblighi in base al Testo Unico,
adempimenti per volere della Corte dei conti, responsabilità sempre più
gravose, ecc. è strano che il Parlamento abbia ritenuto che mantenere
un Collegio di Revisori costituito da tre componenti nei Comuni con
popolazione compresa fra i 5.000 e i 15.000 abitanti sia "eccessivo" e
che attualmente, in tali Comuni, il compenso percepito dall'organo di
revisione sia "troppo elevato"!
L'art. 1, comma 732, della L. 296/06 ha modificato l'art. 234 del T.U.
prevedendo che dal 1° gennaio 2007 l'organo di revisione debba avere
una composizione collegiale solo nei Comuni con popolazione pari o
superiore a 15.000 abitanti; sarebbero interessati circa 1.600 Comuni
con un decremento di nomine, alla scadenza dell'attuale mandato, pari a
circa 3.300 revisori dei conti (in quanto nei Comuni sino a 14.999
abitanti sarà presente un revisore unico). Per quanto riguarda invece
l'aspetto retributivo, in attesa dell'aggiornamento delle tabelle dei
compensi dei revisori (rif. attuale il decreto del 2 maggio 2005), da
parte del Ministero dell'Interno, il Viminale suggerisce di attribuire
all'eventuale revisore unico che sarà nominato là dove già applicata la
nuova normativa, il compenso massimo previsto per i Comuni con
popolazione pari a 4.999 abitanti, senza la maggiorazione del 50% come
Presidente, mancando tale carica; con riserva, da parte del Consiglio
dell'ente, di incrementare il compenso in relazione al nuovo decreto
che verrà emanato.
Le problematiche e l'impegno richiesto, anche temporale, in quanto, a
ragione, sovente i Consiglieri dell'ente individuano nel revisore un
prezioso "collaboratore" in un Ente con popolazione superiore a 5.000
abitanti non sono indifferenti, il confronto tra i membri dell'organo è
essenziale, in quanto non sempre un aggiornamento incisivo è
realizzabile; la condivisione di impegno e responsabilità è
indubbiamente più proficua e meno gravosa in presenza di un organo
collegiale. E' inoltre più assidua la presenza presso l'ente di un
revisore, se gli incaricati sono tre anziché uno solo, anche
considerando che i singoli componenti dell'organo di revisione
collegiale hanno diritto di eseguire ispezioni e controlli individuali
(art. 239, comma 5, T.U.).
Si paragona l'organo di revisione dell'ente locale, al collegio
sindacale, ma su che cosa "regge" ormai il paragone ? Sulle
responsabilità o sugli adempimenti da espletare, ma non certo sul
"criterio" per assolvere quanto richiesto !
Non si vuole, in questa sede, entrare nel merito delle motivazioni che
hanno portato ad una decisione in tal senso: taglio dei "costi della
politica" o taglio dei "controlli" o motivazioni diverse ?
E' indubbio che se non intervengono riformulazioni nella definizione di
tale organo di controllo, il revisore scrupoloso, che tiene ad
impegnarsi con diligenza, dovrà dotarsi di strumenti e tecniche di
revisione, nonché di metodologie di lavoro che gli permettano di avere
costantemente il controllo sulla realtà dell'ente e chiare le aree in
cui le debolezze procedurali potrebbero comportare "gravi
irregolarità ", gestionali o contabilifinanziarie, una metodologia di
lavoro che gli permetta inoltre un utilizzo proficuo del tempo dedicato
a tali incarichi: checklist di controllo tendenti ad accertare che
siano correttamente assolti tutti gli obblighi di legge o siano
presenti elementi migliorativi dell'efficienza dell'ente, programmi di
lavoro che permettano di evidenziare carenze procedurali, carte di
lavoro dell'attività svolta allegate a verbali attestanti la verifica
dell'area interessata; l'applicazione della medesima metodologia
utilizzata in sede di verifiche sindacali. Perché in una azienda sì e
in un Comune no?
Riproduciamo
nelle pagine che seguono il testo integrale del paragrafo del "Libro
Verde sulla Spesa Pubblica" dedicato alla spesa comunale , oggetto,
come tutta la restante spesa pubblica, di una serrata rivisitazione da
parte della Commissione Tecnica della Finanza Pubblica costituita
presso il Ministero dell'Economia . Il Libro Verde è stato presentato
ufficialmente a stampa e pubblico il giorno 6 settembre 2007.
La
circostanza fornisce l'occasione per andare al di là del pur importante
documento ministeriale e dare spazio ad altri tre documenti sulla
finanza comunale usciti in questi giorni (o poco addietro) e meritevoli
di menzione, di cui due di valenza nazionale e uno di valenza regionale
(il riferimento è la Lombardia).
Il focus del documento tratto dal Libro Verde è tutto sulla spesa o,
meglio,sulla distribuzione territoriale di questa, con particolare
riguardo alla spesa di personale, per accertare se vi siano evidenti
segni di "discontinuità territoriali" nei modelli di utilizzo delle
risorse ovvero di "stili di amministrazione", come venivano definiti
nei Rapporti del Ministero degli Interni degli anni ottanta.
Il Rapporto evidenzia, effettivamente, come collocazione territoriale a
livello regionale ed ampiezza demografica costituiscano profili
rilevanti, ma comunque non esaustivi, nello spiegare perché i livelli e
le strutture delle spese siano così differenziate tra un Comune e
l'altro. Nel contempo, l' analisi ha consentito di mettere in luce
aspetti significativi che richiedono indagini più approfondite: ad
esempio, una crescita del peso della spesa per il personale sul totale
della spesa corrente, quando si passi dai Comuni delle Regioni
settentrionali a quelli nelle Regioni meridionali . Una tale
constatazione "pone evidentemente l'interrogativo per riprendere una
frase del Rapporto se queste diverse scelte finanziarie non siano in
realtà fortemente correlate a disparità nei livelli di efficienza delle
produzioni pubbliche tra Nord e Sud."
Del resto, che nello scenario della finanza locale esista una forte
variabilità negli output comunali, spesso non correlata con l'ammontare
delle risorse impiegate, è stato evidenziato da numerose ricerche
sviluppate negli ultimi venticinque anni proprio dal Ministero degli
Interni (anche attraverso il lavoro dell'Osservatorio sulla Finanza
locale) e da fonti indipendenti accademiche. Tali fonti alcune delle
quali vengono presentate nel prosieguo di questa Nota dicono che
nelle aree del CentroNord, dove la spesa corrente municipale risulta
uguale o poco superiore a quella del Sud e delle Isole, i servizi
effettivamente forniti dai Comuni sono di livello qualiquantitativo e
di complessità ben superiori di quelli offerti nel Mezzogiorno, con il
risultato di un costo per unità di prodotto/servizio decisamente
inferiore. Nella consapevolezza dell'enorme interesse che una accurata
Spending review della finanza locale al pari di quella dei Ministeri
, alla quale la CTFP si sta dedicando avrà per una migliore
impostazione dell'intero bilancio pubblico italiano, il Libro verde
promette approfondimenti sull'argomento, basati sull'acquisizione di
adeguate informazioni sugli inputs e sugli outputs delle funzioni
comunali, che possano costituire la base per analisi comparative
rigorose.
Ad una panoramica della finanza locale italiana (e , per qualche
aspetto, europea) è dedicato il Rapporto ISAE 2007 , che continua una
tradizione già consolidata da qualche anno. Oltre ad offrire il
consueto aggiornamento dei dati disaggregati a livello regionale sulla
finanza locale ,esplora diversi temi connessi a problemi di
modernizzazione del governo locale e che dovrebbero essere facilitati
proprio dalle riforme in discussione. I temi monografici di questa
edizione includono la cooperazione tra enti locali, la perequazione
territoriale, i problemi del pubblico impiego locale, la sussidiarietÃ
orizzontale, i problemi della tariffazione ambientale e del road
pricing, l'organizzazione dei servizi pubblici e il consolidamento dei
bilanci degli enti locali. Si intende con ciò "offrire strumenti di
analisi e indicazioni operative per gli attori del sistema pubblico
locale utili per risolvere le criticità di questo livello di governo
all'interno del cantiere dele riforme in corso".
Suddiviso in tre parti (Fatti e dinamiche della finanza locale
italiana; Temi a confronto; Spazio Europa"), nella prima si ha una
ricostruzione dettagliata dei quadri finanziari , con grande attenzione
all'analisi territoriale. Dovendo scegliere un punto qualificante della
parte, si propende per la constata decrescita della spesa
d'investimento . Nella seconda si effettuano approfondimenti teorici e
si descrivono esperienze pratiche, dedicando uno spazio precipuo al
fenomeno dell'associazionismo comunale, sia quello coinvolgente i
piccoli Comuni che quello costituito dai grandi Comuni (Campania), come
pure di quello finalizzato alla costruzione della Città Metropolitana.
La problematica del pubblico impiego locale occupa un altro spazio
rilevante. La perequazione territoriale (una novità tra gli argomenti,
chiamata in causa dalla legislazione più recente della Regione
Lombardia) , la tassazione ambientale, le utilities e i conti
consolidati locali, sono ancora argomenti di grande peso trattati nella
Parte seconda. Attrattivi si presentano anche gli argomenti della Parte
terza, dedicata all'analisi di esperienze comparate europee. Qui viene
di nuovo alla ribalta il tema della frammentazione comunale e del
rimedio più consono all'Europa "mediterranea", che è quello della
cooperazione intercomunale, magari supportato, come si fa in Francia,
dalla erogazione di cospicui incentivi fiscali agli Enti che cooperano.
Infine, è fonte di incoraggiamento per tutti gli operatori del settore
constatare che il resumè del volume si intitola: " Una nuova primavera
per il governo locale?"
In contemporanea, è stato pubblicato dall'IFEL e ANCI nazionale un
Rapporto 2007 dedicato al tema Economia e Finanza Locale. In qualche
misura, esso risponde a molte delle curiosità che il Libro Verde aveva
elencate come giustificate e degne di essere rivisitate nel prosieguo
del lavoro. L'obiettivo dell'iniziativa è di "fornire un quadro il più
possibile dettagliato dell'azione ddei Comuni lungo il
territorio,confrontandone le scelte fatte con gli esiti conseguiti in
termini di sviluppo locale". A tal fine, tra l'altro, viene proposta
una batteria di indicatori "che consenta , da un lato, di predisporre
un ranking tra i Comuni e tra le politiche di intervento...e dall'altro
di calibrare in modo più opportuno gli obiettivi e i vincoli imposti
dal Patto di Stabilità interno".
Dopo avere tracciato il quadro
della finanza locale italiana nella transizione verso il federalismo
fiscale, vi si parla del ruolo dei Comuni per lo sviluppo del
territorio, del welfare locale tra sviluppo ed equità , delle politiche
comunali di investimento e della creazione di infrastrutture , per
finire con un argomento di grande spessore, come gli indicatori di
performance dei Comuni. Argomenti intrecciati con questi sono poi: il
Patto di Stabilità , l'autonomia tributaria come fattore di buona
amministrazione, a sua volta fattore di sviluppo del territorio;
l'impatto dei flussi migratori sull'erogazione dei servizi ai
cittadini; la relazione tra spesa di investimento e crescita; il
rendimento degli investimenti pubblici; ed altri ancora.
Gli argomenti vengono sempre trattati con l'ausilio di moderne tecniche
quantitative, che consentono di discernere le conclusioni certe da
quelle semplicemente probabili. Interessante, al proposito, la
metodologia consistente nel considerare la performance come l'inverso
della probabilità di dichiarare dissesto. Tra i risultati degni di nota
vi è quello secondo cui gli enti più virtuosi sono tendenzialmente
quelli di maggiori dimensioni e quelli ubicati nelle regioni del Nord
del Paese. Il fattore che maggiormente concorre alla buona performance
di un'amministrazione comunale viene identificato nel livello di
autonomia tributaria, che è maggiore proprio al Nord e nei Comuni
mediograndi.
Inaspettata, ma plausibile, la correlazione tra alto livello della
spesa sociale e alta qualità dell'azione amministrativa, cosi' spiegata
nel testo:" data una rigidità sostanziale di buona parte della spesa
corrente, variazioni consistenti e positive della spesa sociale sono
accostabili a sforzi amministrativi, sia di contenimento delle altre
spese sia di attivazione della leva fiscale, per assecondare le
crescenti pressioni della domanda di welfare".
I due rapporti sopra commentati si occupano, come anticipato, di
situazioni di finanza locale largamente nazionale. Essi seguono di
qualche mese una interessantissima pubblicazione , dovuta all'IreR ,
che porta il titolo accattivante "Piccoli Comuni di fronte alla sfida
dello sviluppo", e che ha dimensione puramente regionale, lombarda. Non
stupisce che la Regione Lombardia dedichi tale attenzione alla tematica
, poiché il fenomeno dei "piccoli comuni" , qualunque sia la dimensione
considerata "piccola", assume in Lombardia un particolare rilievo. Del
resto, l'interesse "affettuoso" della megaRegione per i suoi 1000
piccoli Comuni risale ad oltre 30 anni fa: quella fu la fase storica in
cui si effettuarono le ricerche più vaste e sistematiche sulla finanza
comunale lombarda a puri fini "conoscitivi", e non come strumenti per
la costruzione del federalismo fiscale nella Regione.
La ricerca
riscontra una incidenza dei piccoli comuni decrescente rispetto a 25
anni fa, un segnale, questo, che ribadisce la necessità di politiche
adeguate per le piccole comunità istituzionali. Com'era legittimo
attendersi, dall'analisi per zona altimetrica è la montagna che si
distingue come ambito privilegiato per i piccoli comuni: Como, Sondrio,
Lecco, Bergamo, oltre che Pavia, sono le aree a maggiore presenza di
frammentazione comunale.
E' innegabile che la piccola dimensione municipale costituisce una
potenziale debolezza per l'intero sistema di governance pubblico , una
debolezza che avvicina il contesto lombardo a quelli francese e
svizzero, ancora più frammentati: perciò si pongono, sicuramente in
Lombardia (ma anche in Piemonte e altrove) interventi volti a
rafforzare la "adeguatezza" delle amministrazioni locali . Tuttavia va
detto che dalla ricerca qui esaminata non si desume che la debolezza
amministrativa abbia influito negativamente sui livelli di sviluppo
economico e quindi sulle basi imponibili, centrali o locali, di cui
possono avvalersi gli Enti comunali.
Ma, giustamente, la ricerca contiene un corposo capitolo dedicato a
quella che è destinata ad essere, qui in Italia, come è già stata in
Francia e Svizzera, la soluzione alla frammentazione comunale: l'Unione
di Comuni, come le Collaborazioni in Svizzera e l'Intercommunalitè in
Francia. Sui metodi e sugli incentivi ciascun Paese opera come meglio
crede, ma è certo che se in Lombardia (in Italia) si desiderano più
servizi comunali a costi unitari più bassi e, soprattutto, più
equamente distribuiti sul territorio, l'unica strada percorribile
come si dice nel Rapporto appare quella dell'Unione.
Numerose
analisi hanno sottolineato come la struttura della finanza pubblica dei
Comuni italiani evidenzi marcate differenze nel confronto tra singoli
enti in termini di livello (procapite) e di composizione di entrate e
spese.
Le ragioni di tale eterogeneità sono molteplici. La collocazione
geografica delle singole municipalità , la loro conseguente diversa
vocazione economica (si pensi soltanto ai Comuni in aree turistiche), e
il conseguente differente livello di sviluppo economico delle varie
comunità locali, hanno un ovvio impatto tanto per la rilevanza e la
tipologia degli interventi di spesa attivati dalle Amministrazioni
comunali, quanto per l'ampiezza delle basi imponibili locali ed
erariali (attraverso compartecipazioni) a cui queste possono fare
affidamento. Sul piano istituzionale va poi considerata l'estrema
eterogeneità dimensionale dei Comuni italiani con le conseguenti
profonde diversità nella gamma dei bisogni della popolazione residente
e delle risposte rese dalle Amministrazioni in termini di servizi
forniti, e con la differente possibilità di sfruttare economie di scala
e scopo nelle produzioni locali. Il fattore demografico, in termini
innanzitutto di composizione per età della popolazione residente,
certamente influisce su talune voci rilevanti di spesa sociale dei
Comuni. Sul lato dei sistemi di finanziamento la mai attuata riforma
del sistema dei trasferimenti erariali a favore dei Comuni ha
prolungato, fino ad oggi, l'irragionevole allocazione delle risorse
finanziarie basata sulla spesa storica e non ha consentito di calibrare
i trasferimenti in relazione ai valori standardizzati dei fabbisogni e
dei tributi propri, premiando lo sforzo fiscale anziché accomodando
inefficienze e disavanzi. Infine, a differenziare i dati finanziari dei
diversi Comuni sta evidentemente lo spazio discrezionale riconducibile
alle scelte e ai comportamenti degli amministratori locali per quanto
riguarda il diverso sfruttamento degli spazi di autonomia fiscale
riconosciuti dalla normativa statale o la differente efficienza tecnica
(in termini di livelli e combinazioni dei fattori produttivi impiegati)
nelle produzioni dei servizi pubblici.
Riuscire ad isolare in questa molteplicità di determinanti quei fattori
di differenziazione di entrate e spese comunali non giustificati da
caratteristiche strutturali dei singoli enti ma riconducibili a diversi
livelli di efficienza delle Amministrazioni nella gestione dei servizi
pubblici o a irrazionalità del sistema di finanziamento è esercizio
assai complesso che richiede una base informativa assai ampia sulle
specificità dei singoli Comuni. Un primo passo in questa direzione è
offerto da queste note dove, nell'ambito di un approccio meramente
descrittivo, si valuta quanto della variabilità dei bilanci comunali, e
in particolare delle spese, possa essere spiegato da profili rilevanti
dei singoli Comuni quali il territorio regionale di appartenenza e la
dimensione demografica.
Questa
analisi utilizza le rilevazioni sugli incassi e pagamenti in termini di
cassa dei Comuni per il periodo 200203 raccolte dalla Ragioneria
Generale dello Stato (RGS) nell'ambito della propria attività di
monitoraggio della finanza locale. Si tratta di una rilevazione
totalitaria, che riguarda cioè l'intero universo dei Comuni italiani,
ma che, data la sua natura di strumento di monitoraggio finanziario,
non riporta informazioni sugli input impiegati e sui servizi
effettivamente resi dalle singole Amministrazioni comunali.
Concentrando qui l'attenzione soltanto sul lato della spesa dei Comuni
, la tabella 2.28 riporta i valori delle medie e dei coefficienti di
variazione delle spese correnti procapite distintamente per tipologie
di Comuni identificate secondo l'ampiezza della popolazione residente e
la collocazione territoriale regionale. Il valore medio della spesa
corrente procapite nei Comuni localizzati nelle Regioni a statuto
ordinario (Rso) è pari a poco meno di 770 euro. Questo valore cresce
fino a 840 euro, se invece si considerano i Comuni nelle Regioni a
statuto speciale (Rss), i quali riescono a garantire livelli assai
elevati di spesa corrente, pur richiedendo un limitato sforzo fiscale
ai propri cittadini in quanto possono far affidamento sui massicci
trasferimenti erogati dagli enti regionali corrispondenti. La
variabilità territoriale della spesa corrente è elevata: si passa dai
1.055 euro procapite dei Comuni della Liguria (segno forse della
pressione delle diseconomie di scala su scala regionale) ai 551 euro
dei Comuni pugliesi, di EmiliaRomagna, Toscana, Umbria e del Lazio
tutti attestati in media su valori tra 850 e 900 euro. Rispetto
all'ampiezza demografica, le spese correnti procapite delineano in
tutte le aree regionali un netto profilo ad "U": la spesa procapite è
relativamente elevata nei Comuni piccolissimi, poi si riduce fino a
toccare un valore minimo in corrispondenza per lo più dei Comuni della
classe demografica 2.0015.000 abitanti oppure di quella 5.00110.000
abitanti, per poi crescere fortemente nei Comuni più grandi. Si tratta
di andamenti che confermano quanto sopra anticipato: sulla spesa dei
Comuni più piccoli pesano le diseconomie di scala (da cui l'opportunitÃ
di incentivi diretti a favorire le unioni di Comuni e la conduzione
associata dei servizi) mentre nei Comuni maggiori il pacchetto di
servizi pubblici offerto alla cittadinanza si accresce in dimensioni e
complessità .
Un approfondimento particolare merita la spesa per il personale
(tabella 2.29), che rappresenta la componente più rilevante (dopo
quella delle "prestazioni di servizi") delle spese correnti, e la cui
portata limita gli spazi di manovrabilità dei bilanci comunali. Il
personale, nella media dei Comuni italiani dei territori delle Rso,
spiega un terzo del totale della spesa corrente. Marcate sono però le
diversità tra Comuni localizzati in Regioni differenti, con valori
relativamente più elevati nei Comuni delle Regioni meridionali (con
massimi in Calabria e Campania con valori pari al 37%) rispetto a
quelli localizzati nelle Regioni del Nord (il minimo si tocca in
Lombardia con il 29%). Anche la scala demografica sembra avere un ruolo
significativo nello spiegare la variabilità dell'incidenza della spesa
per il personale: i Comuni di piccole dimensioni mostrano una quota un
po' più alta rispetto agli altri, anche se, in molte Regioni, il peso
per il personale torna elevato nei Comuni più grandi.
Un'altra voce di spesa, insieme con quella per il personale, su cui le
Amministrazioni comunali dispongono di limitati spazi di manovrabilitÃ
è, ovviamente, quella per interessi passivi. La tabella 2.30 riporta i
valori della quota della spesa per interessi passivi (a favore della
Cassa Depositi e Prestiti e di altri soggetti pubblici e privati) sul
totale della spesa corrente per le varie tipologie di Comuni qui
considerate. In questo caso, è più arduo riconoscere qualche elemento
di regolarità nella distribuzione tra tipologie di Comuni. Per i Comuni
del Lazio e dell'Abruzzo, si evidenziano Valori dell'incidenza degli
interessi al di sopra della media (6%) dei Comuni delle Rso .
Un'immagine di sintesi del grado di rigidità strutturale dei bilanci
comunali e, quindi, specularmene, dei gradi di libertà che restano per
politiche discrezionali, può essere ricavata mettendo a rapporto la
somma delle spese per il personale e per il servizio del debito
(interessi più ammortamenti) con il totale delle entrate correnti
(tabella 2.31). L'indicatore che se ne ricava segna un valore medio,
tra i Comuni localizzati nelle Rso, del 49%, ed una distribuzione
piuttosto differenziata tra Comuni in diverse Regioni e di diversa
ampiezza demografica. Quanto al primo profilo, va rilevato che mentre
nella media dei Comuni del Molise la rigidità strutturale di bilancio
si ferma al 40%, e per quelli di Lombardia, Liguria e Veneto al 43%,
per i Comuni di Basilicata e Calabria l'indice aumenta di ben 15 punti,
con una chiara tendenza alla crescita passando dal Nord al Sud (in
coerenza, del resto, con quanto sopra osservato sul peso della spesa
per il personale). Rispetto alla dimensione demografica, anche per
l'indicatore di rigidità strutturale sembra riproporsi un andamento ad
"U", con valori relativamente elevati nei Comuni piccolissimi, il
minimo nei Comuni della classe 5.00110.000 abitanti, e poi ancora
valori consistenti nei Comuni più grandi, ma le aree territoriali
regionali che fanno eccezione a questa regolarità generale sono
numerose.
Infine, le spese in conto capitale (tabella 2.32). Nella misura in cui
si possa attribuire una qualche regolarità ad una voce per sua natura
erratica (anche se, proprio per attenuare questa variabilità temporale,
questa analisi fa riferimento alla media sul triennio considerato), va
innanzitutto rilevata l'ampiezza della spesa in conto capitale attivata
dai Comuni rispetto a quella corrente (nel totale delle Rso: 476 euro
rispetto a 769 euro). La distribuzione tra Regioni indica i Comuni
localizzati in Lombardia ed Umbria come quelli che in media investono
maggiormente. All'estremo opposto, i Comuni di Puglia, Calabria e
Campania. La dimensione demografica sembra giocare un ruolo rilevante:
di nuovo, analogamente alla spesa corrente, gli investimenti procapite
sono alti nei Comuni molto piccoli, si riducono fortemente nei Comuni
di ampiezza intermedia, crescono nuovamente nei Comuni di maggiori
dimensioni demografiche.
Nell'analisi delle voci di spesa considerate, la discussione si è
finora incentrata sui diversi valori assunti dalla media di ciascuna
variabile in corrispondenza delle varie tipologia di Comuni. Il
confronto tra medie offre una misura della variabilità dei bilanci
pubblici tra gruppi di Comuni identificati secondo il territorio
regionale e l'ampiezza demografica (variabilità intergruppo). Un'altra
componente di tale variabilità è quella che può essere misurata
all'interno di ciascuno dei gruppi di Comuni così definiti (variabilitÃ
intragruppo). Questa distinzione tra la componente intergruppo e quella
intragruppo nella spiegazione della variabilità complessiva delle voci
di spesa dei Comuni può essere colta in termini sintetici ricorrendo
alle tecniche di scomposizione della varianza (Analysis Of Variance:
ANOVA).
La scomposizione della varianza consente appunto di scindere la
variabilità complessiva nella componente spiegata dall'aggregazione tra
gruppi (come sopra definiti in termini di territorio regionale, di
classe demografica e qui anche di interazione tra queste due
caratteristiche) rispetto a quella residua, che è invece interna alle
aggregazioni. La tabella 2.33 riassume i risultati dell'applicazione di
tale procedura alle voci delle spese correnti e delle spese per il
personale (entrambe in termini procapite) distintamente per tutti i
Comuni del campione, per i soli Comuni localizzati nei territori delle
Rso, ed infine per i soli Comuni localizzati nei territori delle Rss.
La variabilità intergruppo (data dalla somma dell'effetto che passa
attraverso l'appartenenza al territorio regionale, dell'effetto
collegato alla dimensione demografica, e dell'interazione tra questi
due effetti) spiega in misura significativa la dispersione complessiva
della spesa dei Comuni: con riferimento a tutti i Comuni (Rso + Rss) il
46% della variabilità delle spese correnti e addirittura il 52% delle
spese per il personale. La quota di variabilità spiegata dalle
caratteristiche di territorialità e ampiezza demografica non si
differenzia in misura significativa tra Comuni localizzati nelle Rso e
quelli delle Rss. Se poi consideriamo distintamente l'effetto delle
singole variabili esplicative, il fattore demografico risulta più
rilevante di quello territoriale nello spiegare la variabilità delle
spese correnti dei Comuni (sia totali che per il personale), con la
sola eccezione delle spese correnti totali per i Comuni delle Rss.
Quest'ultimo risultato potrebbe essere ricondotto alla forte
differenziazione dei sistemi di finanziamento delle singole Rss e ai
diversi modelli di trasferimenti a favore dei rispettivi Comuni da
queste adottate. Nel complesso, dunque, le caratteristiche municipali
qui considerate (vicinanza territoriale e dimensione demografica)
rappresentano fattori rilevanti di differenziazione della spesa tra
Comuni, ma non risultano certamente esaustivi dato che una quota di
variabilità totale (variabilità residua o intragruppo) delle voci di
spesa attorno al 50% rimane ancora non spiegata.
L'analisi
proposta ha tentato di verificare se nell'ambito della forte
variabilità della spesa pubblica rilevata a livello comunale siano
riconoscibili regolarità che possano essere in qualche misura associate
ad alcune caratteristiche significative delle Amministrazioni
municipali. Si è evidenziato come collocazione territoriale a livello
regionale ed ampiezza demografica costituiscano profili rilevanti, ma
comunque non esaustivi, nello spiegare perché i livelli e le strutture
delle spese pubbliche siano così differenziate tra un Comune e l'altro.
Nel contempo, questa analisi ha consentito di mettere in luce aspetti
significativi che richiedono indagini più approfondite. Ad esempio, la
crescita sopra evidenziata del peso della spesa per il personale sul
totale della spesa corrente, quando si passi dai Comuni delle Regioni
settentrionali a quelli nelle Regioni meridionali, pone evidentemente
l'interrogativo se queste diverse scelte finanziarie non siano in
realtà fortemente correlate a disparità nei livelli di efficienza delle
produzioni pubbliche tra Nord e Sud. Del resto, che nello scenario
della finanza locale esista una forte variabilità negli output
comunali, spesso non correlata con l'ammontare delle risorse impiegate,
è stato evidenziato da numerose ricerche sviluppate negli ultimi
venticinque anni dal Ministero degli Interni e da fonti indipendenti
accademiche. E' assodato che nelle aree del CentroNord, dove la spesa
corrente municipale risulta uguale o poco superiore a quella del Sud e
delle Isole, i servizi effettivamente forniti dai Comuni sono di
livello qualiquantitativo e di complessità ben superiori di quelli
offerti nel Mezzogiorno, con il risultato di un costo per unità di
prodotto/servizio decisamente inferiore.
Si tratta di indicazioni
che devono essere approfondite sulla scorta di adeguate informazioni
sugli input e output rispettivamente impiegati e prodotti a livello
locale, che possano costituire la base per analisi comparative
rigorose. In particolare, l'acquisizione di informazioni sugli output
nei servizi comunali è una prospettiva di ricerca che andrÃ
necessariamente sviluppata, anche alla luce della riforma del sistema
di finanziamento/perequazione degli Enti Locali in attuazione dell'art.
119 della Costituzione. E' infatti noto come, nelle linee di riforma
della finanza locale prospettate nel disegno di legge delega sul
Federalismo Fiscale predisposto dal Governo, la valutazione delle spese
dei Comuni in termini standard (cioè a costi efficienti di produzione)
costituisca l'elemento centrale su cui commisurare le risorse
finanziarie (tributarie e da trasferimenti) da assegnare a ciascun Ente
locale. Da qui l'urgenza di sviluppare tecniche di stima e basi
informative per giungere, su scala nazionale, a valutazioni adeguate
delle determinanti (territoriali, demografiche, economiche e anche
politicocomportamentali) della spesa comunale e, per questa via, a
procedure affidabili di standardizzazione di tali spese.
Le Sezioni Regionali di controllo della Corte dei Conti sono chiamate ad esprimere approfondite valutazioni sulle operazioni di derivati stipulate dagli enti locali in questi ultimi anni con riferimento a due recenti norme:
L'art. 1, comma 168 della Legge 23/12/2005 n. 266.
L'art. 1, comma 737 della Legge 27/12/2006 n. 296 che ha integrato l'art. 41 della Legge 28/12/2001 n. 448.
In entrambi i casi gli esiti delle verifiche effettuate devono essere esclusivamente indirizzati ai Consigli degli enti locali, nell'ambito della funzione di controllo collaborativo previsto dall'art. 7, comma 7 della Legge 131/03.
Poiché si tratta di un argomento di grande attualità che interessa diversi enti locali si ritiene opportuno sottolineare i principali aspetti della deliberazione n. 596 del 26/09/2007 assunta in argomento dalla sezione Regionale di Controllo della Lombardia che, dopo aver definito il quadro normativo e i caratteri delle varie forme di contratti di derivati, ha fissato alcune linee interpretative che sono di seguito riassunte:
1) DEFINIZIONE
I contratti derivati sono "strumenti finanziari" che servono a gestire l'esposizione ai rischi di mercato o di credito che una banca o un'impresa (o un ente pubblico territoriale) assume nell'ambito della propria operatività .
Rientrano nella categoria dei contratti "atipici ed aleatori".
2) REQUISITI
I Comuni possono ricorre alle diverse forme di contratti di derivati esclusivamente alle seguenti condizioni:
per ridurre il costo del debito;
per ridurre l'esposizione ai rischi di mercato;
per contenere eventuali rischi di credito assunti;
l'operazione deve essere strettamente collegata ad un debito a mediolungo termine preesistente, e non ad un'altra operazione di derivati.
3) CONVENIENZA ECONOMICA DEGLI OPERATORI
Poiché il contrattoha natura aleatoria occorre che venga dimostrata, al momento delle stipula e sulla base di precisi elementi di valutazione, l'attesa evoluzione delle variabili che determineranno negli anni futuri i flussi finanziari a debito e a credito dell'ente locale.
4) ALLOCAZIONI IN BILANCIO
Le modalità di regolazione dei rapporti di dare e avere alla scadenza di ogni periodo (anno o semestre) risultano correlate alla variazione dei tassi di interesse di riferimento.
Poiché tuttavia non si tratta di interessi attivi o passivi, ma di flussi differenziali di somme calcolate sui diversi tassi di interesse, le impostazioni contabili dovranno seguire i seguenti criteri:
se il differenziale è positivo o comunque si tratti di anticipazione "upfront", la relativa entrata dovrà essere classificata al titolo IV del bilancio, ed essere destinata al finanziamento di spese di investimento;
se il differenziale è negativo, dovrà essere previsto apposito stanziamento da imputare titolo I di uscita del bilancio spese correnti.
Ove si registrino differenziali positivi l'amministrazione dovrà curare che una parte delle entrate acquisite, ovvero dell'avanzo di amministrazione sia prudentemente vincolato al finanziamento di future differenze negative:
5) LA QUALIFICA DI OPERATORE QUALIFICATO
Qualche perplessità viene evidenziata in ordine alla validità della clausola che prevede una apposita dichiarazione da parte del rappresentante dell'ente locale di possedere la qualifica di "operatore qualificato" o "specializzato".
La giurisprudenza civile chiamata ad occuparsi di vicende riguardanti il settore privato non è univoca, ma nessuna pronuncia risulta sia stata resa in relazione alle operazioni concluse dagli enti locali.
Occorre quindi che l'Ente valuti la natura e l'efficacia delle dichiarazioni rese dal sottoscrittore del contratto ed assuma le conseguenti decisioni in relazione alle possibilità di promuovere un eventuale contenzioso con l'istituto di credito.
Il testo integrale della deliberazione può essere consultato, sul sito www.corteconti.it
Relazione tenuta in occasione della Conferenza nazionale AnciIfel su "Fiscalità ed economia locale", Brescia 89 novembre 2007
La prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale previsto dall'articolo 119 riformato della Costituzione pone questioni di straordinaria complessità per tutte le componenti del sistema di finanziamento degli Enti territoriali (tributi decentrati, meccanismi perequativi, controllo macrofinanziario, relazioni RegioniComuni). In particolare sul fronte della fiscalità , la questione di quali tributi assegnare agli Enti territoriali non può essere vista in isolamento ma nel contesto più generale del sistema tributario nazionale visto come insieme della sua componente erariale e di quella regionale e locale.
A ben vedere in tutti i paesi caratterizzati da assetti istituzionali decentrati i sistemi tributari nazionali fronteggiano rilevanti problemi di coordinamento intergovernativo. Questi problemi coinvolgono una molteplicità di differenti profili. Concernono innanzitutto l'autonomia tra governo centrale e governi regionali/locali e la tutela delle rispettive sfere decisionali in materia fiscale, per cui gli interventi attivati dal governo centrale non dovrebbero avere ricadute sui gettiti e sugli spazi di manovra assegnati e riconosciuti a livello decentrato (da cui la necessità di indeducibilità e compensazioni) e al contempo i tributi erariali e decentrati nel loro complesso non dovrebbero determinare eccessi di pressione fiscale sui contribuenti. Richiamano profili di equità orizzontale nel senso che a contribuenti con analoga capacità contributiva che risiedono in differenti aree territoriali non dovrebbero essere richiesti livelli di tassazione troppo divergenti. Suscitano riflessioni sul piano della redistribuzione verticale, nel senso che lo spostamento di materia imponibile dall'imposizione erariale a quella regionale e locale (con l'ampliamento degli spazi delle addizionali o delle sovrimposte) può implicare, sempreché non si vogliano introdurre scale di progressività differenziate a livello regionale o addirittura locale, un indebolimento della capacità redistributiva del sistema tributario nazionale. Infine, per il moltiplicarsi dei tributi e per la differenziazione territoriale nelle regole applicative, hanno ovvie implicazioni sul piano della semplicità del sistema tributario in relazione al proliferare degli adempimenti e alla loro complessità per tutti gli attori coinvolti (contribuenti, sostituti d'imposta e amministrazione finanziaria statale e decentrata).
Il disegno di legge delega sull'attuazione dell'art. 119 della Costituzione, attualmente all'esame della Camera, sembra ben consapevole di questi nodi problematici. L'articolo 3 prevede infatti una serie di "principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario" che dovrebbero, sul piano appunto dei principi, sovraintendere alle relazioni tra diversi livelli di governo nel disegno complessivo del sistema tributario nazionale. In particolare il sistema tributario nazionale dovrebbe rispettare i limiti imposti dai vincoli comunitari, escludere ogni forma di doppia imposizione, garantire la separazione delle sfere di autonomia tributaria dei diversi livelli di governo, assicurare il contenimento dei costi di gestione per l'amministrazione e per i contribuenti, escludere trattamenti agevolativi regionali e locali che possano rivelarsi fattori di concorrenza fiscale dannosa, fissare un livello massimo di pressione fiscale e il suo riparto tra livelli di governo, preservare nel complesso razionalità e coerenza.
E' in questa cornice generale di notevole complessità che si inseriscono le previsioni specifiche del disegno di legge delega sulle modalità di finanziamento e, in particolare, sulla fiscalità dei Comuni. La struttura della finanza e della fiscalità comunale che esce dal progetto di riforma è assai più articolata e complessa di quella attuale. Secondo le linee generali della riforma i Comuni si finanzieranno infatti attraverso una gamma ampia e diversificata di strumenti:
tributi devoluti dallo Stato ai Comuni;
tributi devoluti dalle Regioni ai Comuni (su materie diverse da quelle delle imposte erariali);
tributi propri che i Comuni decideranno di istituire sulla base della legislazione statale (con applicazione subordinata all'entrata in vigore di una legge regionale o, in mancanza, alla delibera di un singolo Comune);
tributi propri che i Comuni decideranno di istituire sulla base della legislazione regionale;
compartecipazioni ed addizionali/sovrimposte su tributi erariali;
compartecipazioni ed addizionali/sovrimposte eventualmente su tributi regionali;
trasferimenti perequativi statali;
trasferimenti perequativi regionali.
Per esemplificare quale potrebbe essere l'impatto in termini di maggiore complessità dell'applicazione del federalismo sul sistema tributario basti richiamare il caso dell'Irpef. Nella riforma un ruolo certamente primario nella fiscalità locale è riconosciuto all'imposta personale dei redditi con la conseguenza che in un futuro prossimo assisteremo ad un ampliamento degli spazi della componente dell'Irpef riconosciuta ai livelli di governo subnazionali attraverso gli strumenti della compartecipazione e dell'addizionale/sovrimposta. Quindi un'Irpef che anche in futuro resterà un' imposta erariale ma sempre più "condivisa" tra differenti livelli di governo. L'opportunità di una condivisione dell'imposta personale sul reddito tra diversi livelli di governo deriva da due ordini di considerazioni: l'Irpef assicura un gettito ingente e interessa una vastissima platea di contribuenti. L'essere applicata alla grande maggioranza dei cittadini è un pregio importante perché un prelievo locale deve richiamare l'attenzione del maggior numero possibile di elettori sulle politiche condotte da Regioni e Comuni.
In particolare, in materia di Irpef, la bozza del ddl delega sul federalismo fiscale ci consegna una sorta di "Irpef Arlecchino", composta da tanti tasselli diversi. In particolare si prevede:
1) sul fronte delle Regioni:
1.1) che una compartecipazione regionale più un'addizionale regionale all'Irpef siano utilizzate per il finanziamento delle funzioni regionali assistite da diritti sociali e civili (lettera m) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione) e delle spese regionali riconducibili al finanziamento delle funzioni fondamentali svolte dai Comuni (lettera p) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione);
1.2) che una (parte) della addizionale regionale all'Irpef o della compartecipazione all'Irpef sia impiegata per il finanziamento delle funzioni "autonome" regionali (prevedendo presumibilmente un'aliquota standard, cioè una componente di compartecipazione, su cui calcolare la dotazione fiscale di ciascuna Regione quale base per il sistema perequativo orizzontale basato sulle capacità fiscali);
1.3) che l'addizionale regionale all'Irpef possa essere eventualmente sostituita da una sovrimposta;
2) sul fronte dei Comuni, che la compartecipazione comunale al gettito Irpef e la relativa addizionale siano potenziate, riordinate e razionalizzate con lo scopo in particolare di garantire il rafforzamento dell'autonomia dei Comuni e la coerenza delle decisioni in sede comunale con quelle dei provvedimenti statali in materia, anche con riguardo alla situazione dei contribuenti a basso reddito. Si prevede inoltre, al pari del caso delle Regioni, che l'addizionale comunale possa essere eventualmente sostituita da una sovrimposta;
3) sul fronte delle Province, che la possibilità di introdurre una compartecipazione provinciale all'Irpef.
Inoltre, per finanziare le funzioni delegate agli Enti locali dalle Regioni, nell'ambito dell'imposizione sul reddito si potrebbe attuare un meccanismo di compartecipazione locale al prelievo regionale aggiuntivo rispetto alla compartecipazione e addizionale comunale e compartecipazione provinciale all'Irpef nazionale.
La
questione tributaria locale può essere tuttavia pienamente valutata
nella sua complessità solo se vista in congiunzione con il sistema
perequativo dei Comuni prefigurato dalla riforma. I Comuni possono
ricevere trasferimenti perequativi dallo Stato e dalla Regione di
appartenenza. Il fondo perequativo statale, alimentato dalla
fiscalità generale, è basato sul criterio del finanziamento dei
fabbisogni standard: i trasferimenti a ciascun Comune sono tali da
colmare il divario tra la spesa corrente standardizzata di quel Comune (al netto degli interessi) e il gettito standardizzato
dei tributi comunali di applicazione generale (Ici, Tosap, Tarsu,
addizionale comunale Irpef, ecc.). Tuttavia (diversamente dalle Regioni
sui "livelli essenziali" delle loro prestazioni) la perequazione non è
integrale: la dotazione fiscale standard di ciascun Comune è pari
soltanto ad una quota (non inferiore al 90%) dei rispettivi gettiti. La
spesa corrente standardizzata è poi determinata sulla base di una quota
uniforme procapite corretta per la diversità di spesa in relazione
all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali (zone
montane), alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei
diversi enti. Inoltre, all'interno di questo meccanismo, si inserisce
una delle modalità con cui potrebbe realizzarsi la funzione di
coordinamento della Regione nella finanza comunale, che tanta
discussione ha suscitato nel corso della formulazione del disegno di
legge delega: in caso di accordo con gli Enti locali, la Regione
potrebbe procedere al riparto del totale delle risorse
perequative assegnate dallo Stato ai Comuni e alle Province inclusi nel
territorio regionale secondo parametri definiti a livello regionale.
[Il
coordinamento regionale della finanza comunale dovrebbe inoltre
coinvolgere il finanziamento delle funzioni fondamentali dei Comuni
"piccoli" in sostituzione dello Stato e la ripartizione degli obiettivi
del Patto si stabilità interno a livello infraregionale.]
Nel complesso il disegno di legge delega sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione ruota attorno a due principi fondamentali: da un lato, la valorizzazione dell'autonomia tributaria quale strumento di responsabilizzazione degli amministratori decentrati e, dall'altro, l'enfasi sulla perequazione quale garanzia delle risorse finanziarie data la valenza sociale di molti servizi comunali e la distribuzione sperequata delle basi imponibili tra Comuni.
In questa prospettiva quali dovrebbero essere allora le caratteristiche desiderabili del grado ottimale di autonomia tributaria dei Comuni?
Il primo profilo riguarda le funzioni di spesa che le imposte decentrate vanno a finanziare: quando siamo in presenza di spese decentrate su cui insistono diritti civili e sociali che impongono livelli essenziali e territorialmente omogenei (come per molte funzioni dei Comuni) l'autonomia rilevante è quella al margine. La spesa inframarginale potrebbe essere finanziata con tributi non autonomi. Autonomia tributaria deve invece esistere per realizzare correttamente gli incentivi in termini di responsabilizzazione degli amministratori locali nel finanziamento tanto della spesa in disavanzo quanto degli eventuali servizi aggiuntivi al di sopra degli standard garantiti dai livelli essenziali.
In secondo luogo, per valutare correttamente la portata dell'autonomia tributaria ai Comuni, e per sfruttarla pienamente in termini di incentivi, è opportuno, non segmentare le entrate in relazione alla spesa dei governi decentrati, ovvero non dedicare specifici tributi al finanziamento di particolari spese in relazione alla loro diversa natura. I margini di autonomia tributaria, attraverso cui si responsabilizzano gli amministratori locali, devono realizzarsi con riferimento al bilancio comunale considerato nella sua interezza.
Inoltre, con imposte ripartite tra Stato e Comuni (come l'addizionale Irpef) va garantita la certezza dell'effettiva disponibilità (in termini di ammontare e di tempistica) delle risorse riconosciute a livello decentrato.
Infine, va sottolineato che il livello di autonomia tributaria desiderabile, ed effettivamente riconoscibile agli Enti decentrati, dipende dal grado di pervasività dei sistemi perequativi attivati nell'ambito delle relazioni finanziarie intergovernative. Qualsiasi sia l'obiettivo della perequazione (perequazione sui fabbisogni, sulle capacità fiscali, sui potenziali fiscali), il prerequisito fondamentale è che le dotazioni fiscali in termini procapite delle diverse giurisdizioni siano comparabili tra enti di uno stesso livello, e quindi calcolate al netto degli sforzi fiscali, o delle agevolazioni fiscali, decise a livello locale mediante manovre sia sulla base imponibile che sulle aliquote. Deve dunque essere possibile calcolare per ciascun ente entrate fiscali procapite su basi standardizzate e su aliquote standardizzate. Per queste ragioni informative potrebbe allora essere opportuno limitare l'autonomia tributaria: se le esigenze perequative sono rilevanti, le entrate tributarie decentrate dovrebbero essere generate essenzialmente da compartecipazioni e da tributi erariali devoluti (che sono ovviamente omogenei sull'intero territorio nazionale) con spazi di autonomia anche ampi ma circoscritti alla sola manovra sulle aliquote.
Le vicende più o meno recenti delle addizionali comunali sull'Irpef offrono un'esemplificazione efficace dei punti critici appena richiamati. Come è noto, la legge finanziaria 2007 ha consentito ai Comuni di riattivare l'autonomia di aliquota sull'addizionale all'Irpef, portata fino ad un massimo dell'8 per mille. Inoltre i Comuni possono stabilire una soglia di esenzione per i contribuenti in possesso di "specifici requisiti reddituali". Degli oltre 8.000 Comuni italiani la maggioranza ha scelto di aumentare l'aliquota. Alcuni Comuni hanno deciso di modulare l'addizionale su più scaglioni con aliquote marginali crescenti, e qualche Comune ha previsto esenzioni diversificate per tipologie di reddito o per carichi familiari. Parallelamente, la finanziaria ha previsto una limitata riforma dell'Irpef erariale attraverso la ridefinizione delle aliquote ed il ripristino delle detrazioni per carichi di famiglia e tipologie di reddito (al posto delle deduzioni). L'obiettivo sarebbe la redistribuzione del carico fiscale dai contribuenti più ricchi a quelli con imponibili inferiori a 40 mila euro ed il sostegno delle famiglie con figli.
Queste vicende suscitano alcune questioni. E' effettivamente desiderabile riconoscere autonomia locale nell'articolazione delle aliquote dell'addizionale? Deve essere ammessa la scelta del livello di esenzione (il disegno di legge delega richiede coerenza delle decisioni a livello comunale con i provvedimenti statali riguardo ai contribuenti a basso reddito)? Deve essere ammessa la scelta di deduzioni e detrazioni differenziate? E come soddisfare le esigenze di semplicità del prelievo?
L'opinione di chi scrive è che sarebbe desiderabile limitare l'autonomia alla sola scelta dell'aliquota unica, anche in un intervallo relativamente più ampio di quello attuale, ma senza possibilità di differenziazioni di aliquota per fasce o scaglioni e di intervenire con specifiche deduzioni/detrazioni locali. Da questa focalizzazione sulla sola aliquota trarrebbe vantaggio la semplificazione del sistema tributario nonché la possibilità di costruire in modo ordinato la perequazione tra Comuni (data la necessità di valutare la dotazione fiscale standard di ciascun Comune). Più che sull'articolazione del singolo tributo i Comuni dovrebbero invece puntare sul mix delle imposte a loro disposizione. Ed in questo senso va nettamente rifiutata qualsiasi prospettiva di depotenziamento dell'Ici.
Anche relativamente alla perequazione dei Comuni, la lettura del disegno di legge delega pone una serie di interrogativi. In realtà il testo della delega abbozza soltanto, con un grado di dettaglio assai inferiore rispetto a quanto previsto nel caso delle Regioni, la disciplina del sistema dei trasferimenti perequativi degli Enti locali. I successivi decreti legislativi dovranno innanzitutto specificare cosa intendere con standard della spesa comunale (efficienza media? Efficienza massima?) e come determinarli concretamente (quali caratteristiche dei Comuni giustificano differenze nei costi di produzione?). Nella riforma manca poi una regolamentazione adeguata degli aspetti dinamici del sistema di finanziamento e perequazione dei Comuni: cosa succede dopo il primo anno di applicazione? Come verranno modificati negli anni successivi i parametri fondamentali (fabbisogni standard, aliquote di equilibrio, ecc.)? Un'altra questione su cui riflettere è quella dell'opportunità di prevedere, nella prospettiva di un ampliamento degli spazi di autonomia tributaria riconosciuta ai Comuni, qualche forma di perequazione sullo sforzo fiscale, cioè sui gettiti derivanti dalla fissazione di aliquote al di sopra dei livelli standard. L'introduzione di un meccanismo di perequazione sullo sforzo fiscale comporta una serie di problemi tecnici non irrilevanti (come finanziare questo fondo perequativo? Fondo aperto, fondo chiuso?). E' infine necessario sostenere il processo di decisione politica sul riparto dei fondi perequativi tra i Comuni con un adeguato supporto informativo. Si tratta in particolare di prevedere l'introduzione di un organo tecnico che sviluppi le stime relative alla finanza decentrata, sul lato della spesa e dei tributi, e proponga periodiche revisioni nelle formule di ripartizione.